M5S, ora è davvero finita? Cosa porta con sé Dibba

Se Alessandro Di Battista lascia il M5S, come ha annunciato a caldo dopo che era stato reso noto il risultato del voto su Rousseau, non chiamatelo più Movimento 5 Stelle. 

Di Battista porta via con sé un immaginario vasto che era appartenuto sin dalle sue origini al movimento fondato da Beppe Grillo, Alessandro ne era il portavoce e il custode. 

Stiamo percorrendo le strade dell’immaginario, fatto sia da eventi ma anche da speranze, sogni appunto: il sogno di poter cambiare radicalmente le cose, il sogno di dire No, il sogno di non scendere a compromessi, il sogno della rivoluzione, del sincero e sonoro vaffanculo della piazza verso il palazzo, il sogno di invertire la rotta, il sogno di una periferia che diventa centro. 

Nella narrazione di Alessandro Di Battista c’è quel sano rebelismo di stampo sudamericano, c’è Pepe Mujica, c’è Cuba, un po’ di blando anti-capitalismo. Dalla stampa che non gli è mai stata amica, furono ribattezzati “i diari del passeggino”. Lui zaino in spalla e famiglia al seguito in sud America e i suoi compagni di partito facevano la storia o semplicemente un governo con la Lega (il padre e la madre di tutti gli errori strategici del M5S).

Con Alessandro Di Battista vanno via gli arrabbiati, quelli che non ci stanno a farsi prendere per in giro, quelli che dopo la sconfitta non stringono le mani all’avversario se lo ritengono sleale, quelli che adesso sono troppo delusi e hanno gettato la spugna o covano vendetta. 

Nel Movimento 5 Stelle dei migliori c’è sicuramente Alessandro Di Battista, se non altro per la sua forza comunicativa, che quella o ce l’hai o non la impari né a scuola né in una vita. 

Anche se in maniera ingenua, Di Battista prova a squarciare quel velo del “non detto”, taciuto, il “non svelato”, il nascosto, l’altro racconto, che sì ne possiamo leggere su qualche sito internet o su qualche giornale ma che non rientra nel dibattito pubblico, nei sondaggi, nei titoli dei Tg. In un’Italia dove i partiti per 80 anni hanno fatto finta di litigare a favore di telecamera e poi si mettono d’accordo, lui lancia frasi così:

“La Repubblica degli Elkann  è un giornale che punta a indebolire il governo Conte”

Su Autostrade: “punire i Benetton di ieri come monito per i Benetton di domani”

Oggi le sue parole sui media in Italia sembrano profetiche, dice: “provano a convincere la pubblica opinione della necessità di un governo delle larghe intese quindi delle larghe imprese quindi un governo di tutti e quindi un governo non dei cittadini”

Quindi delle due l’una, è un pazzo tra i sani? Siamo o no schiavi di una grande lobby che blocca lo sviluppo del Paese? Ci sono o no i poteri forti che condizionano l’agenda politica italiana? Il conflitto di interesse e la commistione tra affari e media è o no un problema in Italia?  Ecco ora tutti coloro che hanno risposto Sì a queste domande, avranno una voce in meno su cui contare. 

Perché in tv assistiamo invece a un finto racconto che al massimo si scontra solo sui diritti civili (Ius soli, accoglienza dei migranti, parità di genere, etc..), e i temi sociali (lavoro, welfare) non sembrano dividere nemmeno così tanto Confindustria e i sindacati?